Capitolo 3
Nightmare
“Tom... si può sapere che ti prende?”
“Lasciami stare Bill!”
“Ma...”
“Smettila!”“No... no... no!”
Mi svegliai di soprassalto ansimando, in un bagno di sudore. Scossi la testa cercando di spazzare via quelle immagini angoscianti. Misi a fuoco il soffitto e riconobbi di non essere nella mia camera ad Amburgo. Purtroppo era tutto vero...
Dalla finestra filtrava una luce velata. Lessi l’ora: appena le sei.
Mi rizzai a sedere sbadigliando, tanto non avrei più chiuso occhio. Ormai erano svariate notti che non dormivo. Nascosi il viso fra le mani.
“Lasciami stare Bill!”“Ah, basta...” protestai.
“Smettila!”“Basta... basta!” mi tappai le orecchie come se lui fosse ad urlare lì di fronte a me.
Quell’incubo minacciava di tormentarmi tutto il giorno.
Feci un respiro profondo e mi lasciai ricadere sullo schienale del letto. Dovevo sfogarmi.
Fissai il cellulare sul comodino; lo afferrai e subito composi un numero.
“Ehi tesoro!”
“Ciao mamma...”
“Il tuo tono non è dei migliori... che succede?”
“Mi sono appena svegliato, non ho dormito molto...”
Lei sospirò, poi a voce bassa disse:
“Non sei l’unico se ti interessa...”
“Mi dispiace che si sia creata questa situazione, ma ti assicuro che...”
“Con chi parli?”Una voce fin troppo familiare mi ghiacciò le parole in gola.
“Accidenti, da voi è quasi ora di pranzo. Vi ho disturbati, ci sent...”
Sentii un brusio in sottofondo e mia madre si affrettò a replicare:
“No aspetta, non riattaccare sempre! Parliamo!”
Esitai qualche secondo.
“No mamma, non devi preoccuparti per me!” e rigettati il telefono sul comodino.
Non era possibile... lo odiavo a tal punto da non poter neanche sentire la sua voce? Doveva finire... e presto.
Mi alzai con calma, nonostante la mia mente non me lo permettesse avevo ancora un gran bisogno di riposare. Era davvero raro che io in piena estate mi svegliassi a quell’ora. L’estate era la stagione che più
adoravamo, lontani dalla dannata routine e liberi ogni giorno.
Ed invece, cosa ci era successo quell’anno? Dov’ero finito?
Andai in bagno e mi rinfrescai più volte il viso, in qualche modo speravo che l’acqua potesse lavar via tutto quello stress.
Posai le mani ai lati del lavandino, stringendo la presa, e lentamente alzai la testa fino ad incrociare il mio riflesso nello specchio...
così simili, ma profondamente divisi in quel momento...
Distolsi lo sguardo e, dopo essermi legato distrattamente i capelli, tornai in camera.
Aprii l’armadio e cercai una maglietta nella valigia ancora intatta; ogni sera vi riponevo gli abiti come se il giorno dopo dovessi ripartire. Poi mi infilai in velocità i pantaloni della tuta; non ero mai stato un amante dello sport, ma quella mattina avevo una gran voglia di andare a correre; forse in quel modo mi illudevo di allontanare i pensieri... la parte di me che soffriva...
Inforcai gli occhiali da sole ed uscii sbattendo la porta.
*****
“Ehi Bill, in tempo per la colazione! Ma dove sei stato?” mi domandò curioso Sam, appena mi vide varcare la soglia della locanda.
“A... a correre, è una così bella giornata.” risposi evasivo avanzando verso il bancone di legno.
“Mmm, sei pallido... c’è sempre qualcosa che ti preoccupa e non me lo vuoi dire!” mi disse con fare premuroso.
Ormai non riuscivo più a mascherarlo, ma mi limitai a scuotere la testa.
“Per me ha litigato con qualcuno... buongiorno papà!”
Mi girai di scatto: dall’ingresso si stava avvicinando una giovane donna dai lunghi capelli ricci, che spingeva un passeggino a doppio posto.
“Allison, che piacere! Come mai da queste parti?” la salutò Sam andandole incontro.
Subito i due biondi bambini attirarono la mia attenzione: erano identici e facevano a turno per tenere un giocattolo. Era come assistere da spettatore ad una scena vissuta in prima persona...
D’un tratto ad uno cadde il cappellino ed io mi chinai per raccoglierlo; appena glielo porsi la sua manina afferrò il mio dito e lui mi osservò intensamente sorridendo.
Si creò per un attimo uno strano contatto, mi sembrava di conoscerlo bene quel bimbo e da molto tempo...
“Gli hai già fatto una buona impressione, complimenti! Di solito
Tom è il più diffidente!” la voce squillante della ragazza mi riportò alla realtà.
“T-Tom?” ripetei sbalordito posando gli occhi su di lei.
“Sì e l’altro è Justin. Hanno poco più di un anno, ma credo di aver già capito i loro caratteri!”
Nel frattempo il bimbo lasciò il mio dito e si concentrò sul suo berretto.
Sorrisi amaramente.
“Forza gioventù, andate a fare colazione.” ci batté le mani Sam.
Mi alzai e, un po’ svogliato, entrai nella saletta a fianco.
“Ehi! Ancora non mi hai risposto!”
Fissai accigliato la ragazza, che si sedette tranquilla al tavolo accanto.
“Non sei americano, vero?” mi chiese scrutandomi.
“No, vengo da Amburgo. Sono arrivato da... da due settimane...” dissi a voce bassa mescolando lentamente il caffè.
“Deve essere successo qualcosa che non ti aspettavi se sei scappato così...”
“In un certo senso...”
Mi accorsi che era la prima volta che accennavo a quel discorso. D’istinto mi voltai verso di lei e la osservai sistemare con cura i bavaglini al collo dei gemelli.
“Come hai capito il mio problema?” domandai curioso ed al tempo stesso stupito.
Le sue labbra si curvarono.
“Beh sono super intuitiva io! E poi, non so perché, ma riesco a leggere chiaramente nei tuoi occhi...”
Sorseggiò dalla tazza e mi guardò intensamente.
“Stai soffrendo... forse troppo.”
Non dissi nulla, non ne avevo la forza. La ferita stava ancora sanguinando copiosamente.
“Stai tranquillo, non voglio chiederti i dettagli, non mi conosci nemmeno.”
“Vorrei solo trovare una soluzione!” sospirai senza controllarmi.
Lei non rispose subito, ma si girò totalmente verso di me ed appoggiò la sua mano calda sulla mia. Era come se cercasse di trasmettermi un po’ di conforto.
Poi disse:
“Spesso la soluzione c’è, solo che in genere restiamo troppo concentrati sul problema e non la focalizziamo...” fece una breve pausa. “E’ importante questa persona nella tua vita?”
Annuii deciso... lei si limitò a sorridermi affettuosamente.
Abbassai il capo; sì, lui contava davvero molto, ma ciò non toglieva che mi avesse profondamente ferito e deluso.
“
Non avere fretta...” aggiunse incoraggiante alzandosi.
E si diresse all’uscita, lasciandomi di nuovo solo con i miei innumerevoli pensieri.
Prima di scomparire dalla saletta, il gemellino con il berretto mi salutò allegro agitando la piccola manina. E le parole di Allison mi riecheggiarono nella mente.
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finalmente, dopo innumerevolissimissimi sforzi, sono riuscita a concludere il capitolo!
a mio avviso non è per niente bello, però la mente sotto esami funziona a intermittenza! (no, la mia funziona sempre così X°°°°°DDD)
cooooomunque, spero che la curiosità stia crescendo a questo punto...
spero di postare più in fretta le prossime volte!
spazio ai commenti!!
Edited by crazymonsoon - 9/2/2009, 17:05